L’importante è partecipare, così dice un famoso detto. Falso, una delle grandi bugie della vita, quelle che ci vengono raccontate da bambini per instillare quello che si presuppone essere il vero senso del gioco, ossia l’idea che non è il risultato quello che conta ma l’impegno e la costanza che si mette per provare a raggiungere un obiettivo. Si avverte già, crescendo, maturando, in queste parole, il paradosso, l’inconciliabilità dei sani principi che si scontrano con una realtà che non accetta la possibilità di poter fallire. E’ chiaro ed evidente che il fine ultimo di qualsiasi impresa è nel riuscire ad ottenere quello per cui si è lavorato, in questo caso, per tornare in argomento, la vittoria del campionato. Ed è quello che stanno facendo, in maniera anche ottimale, i ragazzi di Paolo Indiani.
Sette goal subiti. Sette, un numero inglorioso, una nota stonata in una melodia che procedeva e risuonava in maniera tonda, quasi perfetta. Ma accade, che appena quella nota infausta venga suonata, in quel di Ghivizzano, d’un tratto la memoria perda la sua funzione primaria, ricordare ciò che prima si era felicemente ascoltato. E’ umano e legittimo rimanere delusi da una prestazione di questo tipo, e si sarebbe percepita la medesima sensazione se anche fosse accaduto nei campionati precedenti nei quali il Livorno zoppicava e non macinava risultati positivi come quest’anno.
Il Ghiviborgo ha atterrato in tutti i sensi i nostri ragazzi, ma non è di questioni tecniche che voglio parlare; sono certa che il Mister farà le sue valutazioni e non è certo un episodio spiacevole a cambiare il pensiero su di lui. Perché questo accade, ed è questo su cui mi voglio concentrare. La fallibilità dell’essere umano. Accade a tutti, è inevitabile, subire una battuta di arresto, per quanto tremenda possa essere in questo caso. E allora è proprio in questo momento che sento il bisogno di stringermi intorno alla squadra. C’ero, quando il Livorno è approdato in coppa Uefa. Ci sono, mentre gli amaranto tentano di levarsi dalla fossa in cui sono precipitati, una serie D che non perdona e che ti da una sola possibilità per uscirne.
Ovvio che verranno fatte tutte le valutazioni tecniche del caso, ma non ho visto superficialità negli uomini in campo, in qualche caso frustrazione e anche disperazione. A fine gara, sono andati mesti sotto la curva, consapevoli di quanto appena accaduto; un atteggiamento corretto e maturo, se consideriamo inoltre la giovane età di molti di loro. Davanti, Lorenzo Gori e Edoardo Nottoli, ad oggi 32 goal in totale, due giocatori da non sottovalutare e che hanno messo in difficoltà una difesa probabilmente non pronta ad affrontarli in maniera efficace. Nonostante ciò, non ho visto approssimazione. E questo è un dettaglio non da poco. E questo, non cancella le prestazioni positive e ciò che di buono è stato fatto nelle gare precedenti anche per chi il campo lo ha visto meno. Questi momenti possono influire negativamente sulla mente umana, ma non è sbagliare il problema. Quello che conta non è l’errore, ma come si reagisce ad esso.
Nel 1994 avevo sei anni. Roberto Baggio sbagliò un rigore, anzi, Il Rigore, nella finale dei mondiali contro il Brasile. Ma Baggio rimane Baggio. Ovviamente non faccio alcun tipo di paragone, ma questo solo per spiegare che non sarà certa una brutta domenica di Inverno a determinare la carriera di un giocatore; si perde una battaglia, non la guerra. Le lacrime di Filippo Tani a fine partita raccontano la cocente delusione di un ragazzo di diciannove anni che ci ha provato comunque fino alla fine. Black out, tilt completo. “Se avesse giocato lui piuttosto che l’altro…” sono supposizioni che ad oggi non servono a niente. Finite le lacrime, potete rialzarvi a testa alta. Non sbaglia solo chi non prova. E ai nostri ragazzi adesso serve una pacca sulla spalla, sono perfettamente coscienti di quanto accaduto. Andiamo avanti, c’è ancora un pezzo di strada da fare e devono sapere di non essere da soli.
di Agnese Gaglio
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